Iniziai il mio Pellegrinaggio seguendo una specie di
strada, una traccia invisibile che, più che fuori, sentivo
sprigionarsi e delinearsi lentamente e progressivamente da
me, dal cuore, sospingendomi in avanti. Io, davanti. E Lui,
dietro a me. Attraversammo un mercato stipato di cose e
stracolmo di gente, e mi meravigliai alquanto di come nessuno
si accorgesse di noi, di come non trovassimo in loro
alcun ostacolo nel nostro procedere. Finimmo poi nella
mischia di una battaglia furibonda; ma né armi né soldati
ci scalfirono, anzi, nemmeno la polvere ci rimase addosso.
Nessuno badava a noi, nessuno ci percepiva, nessuno ci
ostacolava. Proseguimmo attraversando un deserto in un
batter d’occhio e un oceano immenso in un baleno, sostando
invece alquanto in mezzo a un gruppetto di bimbi che
giocavano, e osservando, dapprima, il loro gioco.
Ripresi il nostro cammino solo quando mi avvidi che
era impossibile entrare nel loro gioco, e del tutto inutile il
cercare di afferrare la palla che ogni tanto sfuggiva loro,
rotolando sempre oltre i miei piedi. Lui, accanto a me, sorridente,
mi osservava divertito.
Finimmo poi in un’immensa fabbrica, rumorosa e anonima,
con tanti operai intenti al loro lavoro.
Passammo attraverso un gruppo di fedeli assonnati,
mentre un predicatore si sgolava inutilmente; finimmo poi
tra un gruppo di devoti danzanti e osannanti; poi in un
altro folto gruppo di prostrati silenziosi; infine, in mezzo
ad altri seduti a discorrere tra loro, quasi fossero dei funzionari
in un ufficio. Entrammo in una casa dove ognuno
era intento alle proprie cose: la donna al riordino della
tavola, i figli alla televisione; l’uomo, fuori, lucidava
accuratamente la sua automobile.
Proseguendo, ci imbattemmo in un giovane che stava
iniettandosi droga attraverso il braccio. Girammo l’angolo
e ci sedemmo sul gradino d’ingresso di una casa del
centro della città, accanto a un poveraccio che chiedeva
l’elemosina. Fu allora che Lui mi guardò, come in attesa;
e senza dirmi nulla mi fece capire: tira le somme!. Lo
osservai in silenzio, cercando di dargli la mia risposta.
Capivo che questo andare su e giù per il mondo, io davanti
e Lui dietro, mi stava suggerendo una specie di... non
saprei come definirla, se non così: una ‘sotto-missione’.
Una missione cioè non evidente, non percepibile al
momento, una missione ‘sotto’ tutte le altre ‘missioni’ di
commercio, di gioco, di lavoro, di guerra, di preghiera, di
vita manifesta e quotidiana.
Cose certo più concrete ed evidenti, al momento, queste.
Ma forse questa ‘sotto-missione’, che aveva proprio
l’atteggiamento principale della sottomissione - come era
stata la nostra presenza in quelle situazioni - questa missione
secondaria, era in effetti la prima, anzi: è l’unica,
quella destinata all’eterno, al Paradiso. Lo guardai: Lui
percepiva questo mio parlare silenzioso, e io percepivo il
suo silenzioso ascoltarmi.
Già: nel Paradiso - e qui ci incontrammo con il sorriso
- si vive di questa sottomissione gioiosa ed eternamente
vitale. Questa è anche la missione a cui è chiamato l’uomo
sulla terra, dunque? Sì. ‘Sottomissione’: potrei anche
descriverla, rivedendo il nostro Pellegrinaggio, come un
cammino di purificazione del silenzio. Un cammino di
scelta di silenzio, di offerta di silenzio, di un certo silenzio
e non altro, di un silenzio che permette e non vieta, che
apre e non chiude... e qui mi si rivelano altre infinite possibilità...
come viverle tutte? Lui, nel suo silenzio rasserenante,
è ancora la mia risposta: sia in Paradiso che sulla
terra, la ‘sottomissione’ è la missione più alta alla quale
siamo chiamati, fin dall’eternità e per l’eternità.
Mi rivedo, tra la gente del mercato, a rivivere con gioia
quel mio esser lì, e l’andare con loro dove sono loro, dietro
a loro, sottomesso, in silenzio, a partire dalla bancarella
della frutta, per cercare sempre di vivere il miglior frutto:
l’anima silente, sottomessa con gioia alla sua missione.
“Vai!” mi disse. Gli accennai di sì.